
Humanizing Data: Il valore della ricerca qualitativa
L’acquisizione dei dati ha rappresentato, in un passato nemmeno tanto lontano, una vera e propria rivoluzione nel mondo aziendale: vendite, andamento dei mercati e performance di brand, prodotti/servizi e azioni di marketing, soddisfazione e NPS dei propri clienti, sono stati trasformati in valori quantificabili e per questo utilizzabili per monitorare, pianificare e prendere decisioni strategiche di business. In pochissimi anni, le informazioni derivanti da qualunque scambio, attività e relazione sono diventati un elemento imprescindibile per essere competitivi e grazie ad azioni di business vincenti che garantiscano un ROI di segno positivo.
Oggi, tutto questo, non basta più.
La vera sfida non è più la disponibilità del dato, ma la capacità di riempirlo di significato.
UNO SGUARDO “HUMAN CENTRIC”
“We are not thinking machines. We are feeling machines that think.” Damasio
I cosiddetti BIG DATA, di cui ormai tutte le aziende dispongono infatti, non offrono soluzioni immediate, ma richiedono un passo ulteriore: l’analisi e l’interpretazione.
Per questo, le informazioni ottenute devono essere intrecciate con quelle correlate che, spesso, operano su piani completamente diversi (sociale, emotivo, inconscio: si pensi alle conversazioni online e all’influenza di quei contenuti sulle scelte effettuate in negozio) e che, come dimostrato dalle neuroscienze, contribuiscono fortemente a delineare lo scenario in cui il mercato si muove.
Tricia Wang, global tech ethnographer, ha scelto il termine “Thick data” per indicare questo tipo di dati, cioè quelli derivanti dall’analisi qualitativa, che vanno a integrare, spiegare, contestualizzare e arricchire di significati i Big Data.
Li definisce una sorta di “rebranding dei dati qualitativi”, perché sono quelli in cui ci si imbatte solo durante uno studio approfondito che va oltre il dichiarato e il razionale e che, diversamente, sarebbero rimasti sommersi o inutilizzati.
Il contesto in cui viviamo, infatti, è un quadro troppo complesso per basarsi soltanto sull’espressione numerica di un fenomeno: le esigenze dei consumatori dipendono da cambiamenti sempre più frequenti, le aziende operano in un mercato notevolmente competitivo e, soprattutto, orientato a una commistione di online e offline, il rilevante cambiamento tecnologico degli ultimi decenni condiziona in maniera importante il nostro quotidiano e le condizioni di mercato sono sempre più vulnerabili e globalmente sensibili.
L’approccio qualitativo indaga nel profondo, riconoscendo e interpretando gli stimoli emotivi che si nascondono dietro scelte e preferenze che sono razionali, appunto, soltanto in apparenza.
I dati acquisiti, difatti, diventano privi di senso se non vengono raccontati, “umanizzati” e “colorati” con bisogni, aspettative, passioni, spinte emotive delle persone da cui provengono. La ricerca qualitativa si occupa di tutto questo e si focalizza sui processi emotivi e cognitivi che portano a un comportamento, alla ricerca di quelle connessioni, apparentemente lontane, che guidano i consumatori e che chiedono alle aziende di mettere al centro la persona per poter parlare davvero di customer experience.
UNO SGUARDO STAKEHOLDER CENTRIC
“Power comes not from knowledge kept, but from knowledge shared” Bill Gates
Le competenze richieste per rispondere con professionalità a questa esigenza multiforme, non a caso, spaziano in diverse discipline; psicologia, economia, comunicazione, sociologia e antropologia, diventano le basi necessarie per entrare in contatto con quello che c’è al di là delle cifre e delle decisioni. In questo modo si può individuare correttamente l’obiettivo su cui concentrarsi e valutare come sia opportuno lavorare in quella direzione, progettando e integrando in maniera ottimale le diverse tecniche da adottare, per comprendere le cause di certi eventi e prevederne le evoluzioni.
Il punto di forza di questa metodologia e della filosofia qualitativa è, di fatto, proprio l’assenza di uno schema prestabilito, perché la flessibilità e la possibilità di adattarsi al contesto e all’individuo, di modulare il linguaggio, la gestione degli argomenti e del tempo a seconda della circostanza, rappresentano elementi indispensabili per ottenere un risultato cristallino.
La traccia che il ricercatore utilizza per raccogliere gli insight del fenomeno oggetto di analisi, infatti, è solo il punto di partenza per fare emergere le opinioni e le impressioni del singolo rispetto al tema trattato e, soprattutto, per andare oltre la semplice risposta e conoscere le sensazioni e i pregiudizi di cui, spesso, neppure gli intervistati sono consapevoli.
La scelta del tipo di strumento, invece, dipende da quello che si vuole ottenere: può ricadere su metodi creativi, come i giochi di ruolo, oppure su quelli più cognitivi-motivazionali, vale a dire di vera e propria ricostruzione del pensiero decisionale, che possono sostituire o affiancare gli approcci più classici, come l’organizzazione in gruppi di lavoro più o meno ampi.
Una ricerca qualitativa non si conclude con la restituzione degli insight e dell’interpretazione dei fenomeni, ma con piani e azioni, messe a punto con gli stakeholder aziendali, utili a far sì che l’azienda sia in grado di attivare le scoperte della ricerca.
È necessario assicurare la condivisione in azienda e con gli stakeholders perché quei risultati, quella consapevolezza e quelle conoscenze diventino il mindset e influenzino costantemente le scelte quotidiane e operative di tutti.
Se l’obiettivo dell’azienda è
CAPIRE e INTERCETTARE trend, bisogni e processi decisionali
ANTICIPARE ed ESPLORARE per poter innovare con successo e prevenire problemi e insoddisfazioni
VALUTARE e DISEGNARE al meglio la propria Customer ed Employee Experience, prodotti, servizi, touchpoint, marketing mix
la scelta non può che ricadere su una ricerca qualitativa, perché il suo valore, il suo ROI è in realtà un Return of Insights: il pensiero laterale che si traduce in azioni proficue per il proprio business.